IL TRIBUNALE A integrazione e motivazione della riserva di cui all'udienza del 7 novembre 2002, in relazione alla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal difensore degli imputati Sovran Antonio e Sovran Fabrizio nel proc. n. 10732/02; Rilevato che il difensore solleva questione di legittima costituzionale dell'art. 497 secondo comma c.p.p., in relazione agli articoli 3 e 24 Cost, nella parte in cui non prevede espressamente il divieto (o, specularmente, nella parte in cui prevede l'obbligo e/o la possibilita) della parte offesa dal reato, costituitasi parte civile, di essere esaminato come testimone e di conseguenza, in tale veste, di essere sottoposto all'obbligo di dire la verita' e di prestare la dichiarazione prevista nello stesso articolo, con l'avvertenza e le conseguenze previste per i testimoni falsi e reticenti, per violazione del principio di uguaglianza e parita' dei cittadini e del principio di ragionevolezza; Cio' principalmente in relazione alla evidente disparita' di facolta' e diritti della persona offesa nel processo civile e in quello penale, alla luce anche delle diverse conseguenze che ne derivano per il "convenuto" o "imputato". La questione non e' infondata. Gia' da tempo la giurisprudenza si e' interrogata ed ha cercato soluzioni al problema posto con la questione sollevata in questa sede, in relazione alle norme del codice di procedura penale che prevedono e regolano i diritti e le facolta' della persona offesa dal reato nel processo penale. E' utile sottolineare e menzionare preliminarmente [ricordando che la questione di legittimita' costituzionale in oggetto e' gia' stata esaminata sotto diverso profilo, con riferimento all'art. 197 lett. c) c.p.p., e risolta in senso negativo, con Ord. Corte Cost. n. 115/1992], alcune pronunce della Suprema Corte gia' intervenute in relazione al valore e alla validita' della deposizione della parte offesa assunta come testimone (e soprattutto alla valenza e al "peso" complessivo che il giudice di merito deve dare alla testimonianza cosi' assunta, nell'economia della decisione sul giudizio di colpevolezza dell'imputato: 1) ".. in tema di valutazione della prova, qualora si tratti della testimonianza della persona offesa dal reato, che ha sicuramente interesse verso l'esito del giudizio, e' necessario vagliare le sue dichiarazioni con ogni opportuna cautela, cioe' compiere un esame particolarmente penetrante e rigoroso attraverso una conferma di altri elementi probatori, talche' essa puo' essere assunta, come fonte di prova, unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilita' oggettiva e soggettiva..."1). 2) ".. Nell'ipotesi in cui l'accusa sia fondata sulle dichiarazioni della persona offesa, il giudice ha l'obbligo di valutarla con il massimo rigore alla luce di tutti gli elementi probatori processualmente acquisiti. Eseguita ogni utile indagine, il giudice puo' fondare il suo convincimento sulla parola della persona offesa medesima, dando adeguata e coerente giustificazione delle conclusioni alle quali sia pervenuto"2). 1) Cass. n. 7241/1994. 2) Cass. n. 1186/1995. 3) "..nel vigente ordinamento processuale alla persona offesa e' riconosciuta la capacita' di testimoniare a condizione che la sua deposizione, non immune da sospetto perche' portatrice di interessi in posizione di antagonismo con quelli dell'imputato, sia stata dal giudice ritenuta attendibile, a tal fine facendo ricorso all'utilizzazione ed all'analisi di qualsiasi elemento di riscontro o di controllo ricavabile dal processo. Una volta che tale esigenza sia rimasta soddisfatta ed il convincimento trattone sia sostenuto da congrua e logica motivazione, il relativo giudizio non puo' soffrire censure di legittimita'"3). Ed invece, in senso molto meno rigoroso: ".. 4) puo' attribuirsi piena efficacia probatoria alla testimonianza della persona offesa dal reato qualora ne sia accertata l'intrinseca coerenza logica, anche quando essa costituisca l'unica prova e manchino elementi esterni di riscontro"4). Gia' la diversita' di giudizio emergente da diverse pronunce della Corte di cassazione, peraltro in periodi molto vicini fra di loro, evidenzia come il problema sia reale e rilevante. Con la pronuncia piu' sopra menzionata (n. 115/1992), la Corte costituzionale aveva gia' esaminato sostanzialmente la questione, ritenendo che: "...Considerato che questa Corte, con le sentenze n. 190 del 1971 e n. 2 del 1973 (rese su questioni identiche nella sostanza), ha gia' avuto occasione di rilevare che la subordinazione della disciplina dell'azione civile alle esigenze connesse all'accertamento dei reati e' riconosciuta nel nostro ordinamento, per effetto di una scelta legislativa non irrazionale, quale corollario dell'interesse pubblico a tale accertamento; interesse preminente su quello collegato alla risoluzione delle liti civili, specie quando il medesimo fatto risulti configurabile nel contempo come illecito penale ed illecito civile e si prospetti quindi l'opportunita' di evitare contrasti di giudicati; che detti rilievi espressi sulla base della disciplina previgente, possono essere confermati anche in ordine all'art. 197, lett. c), dell'attuale codice di procedura penale, sia perche' lo stesso legislatore, ritenendo che la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisse un sacrificio troppo grande nella ricerca della verita' processuale (cfr. Relazione al progetto preliminare), ha ribadito la preminenza dell'interesse pubblico all'accertamento dei reati su quello delle parti alla risoluzione delle liti civili (principio, peraltro implicitamente posto anche dall'art. 193 del codice di procedura penale), sia perche', alla luce di un ormai fermo orientamento giurisprudenziale, la deposizione della persona offesa dal reato, costituitasi parte civile, deve essere valutata dal giudice con prudente apprezzamento e spirito critico, non potendosi essa equiparare puramente e semplicemente a quella del testimone, immune dal sospetto di interesse all'esito della causa; Al di la' di questa pronuncia, questo giudice ritiene che, nella pratica, il problema non sia affatto risolto; la stragrande maggioranza dei procedimenti penali ove vi e' costituzione di parte civile riguardano fatti-reato e fattispecie penali perseguibili a querela di parte e vengono appunto avviati a seguito di denuncia-querela presentata dalla presunta parte lesa: fra questi, l'ulteriore stragrande maggioranza arrivano all'attenzione del giudice di merito basandosi solo ed esclusivamente sulla prova fornita dalla deposizione del querelante-persona offesa, quasi sempre costituitosi parte civile, ovvero sulle deposizioni di prossimi congiunti di questi, per i quali, specularmente, (nonostante anche da parte di questi vi sia concreto interesse al riconoscimento di colpevolezza dell'imputato), non e' previsto il divieto di testimoniare o la facolta' di astensione dalla deposizione come per i prossimi congiunti dell'imputato (art. 199 c.p.p.). Nel concreto e nella pratica, cio' significa che ove il giudice applichi (e giustamente debba applicare) i principi sulla valutazione della prova testimoniale sopra menzionati (... la testimonianza della persona offesa puo' essere assunta, da sola, come fonte di prova, unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilita' oggettiva e soggettiva...), stabiliti ormai in maniera uniforme dalla Cassazione, il processo penale quasi sempre si conclude o si dovrebbe concludere con l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530 secondo comma c.p.p., per insufficienza o contraddittorieta' della prova; in caso contrario, cioe' ove invece il giudice ritenesse pienamente credibile la deposizione della persona offesa e basasse la sua motivazione di condanna sulla base esclusivamente degli elementi di prova da questa forniti, indipendentemente quindi dagli elementi contrari forniti dall'imputato (nel caso questi sia, come quasi sempre avviene, sottoposto ad esame o fornisca dichiarazioni spontanee), giocoforza ne verrebbe (e di fatto ne viene) fortemente inficiato il principio di uguaglianza fra le parti che "sostiene" il processo penale di tipo accusatorio, come quello attualmente in vigore. 3) Cass. n. 893/1993 4) Cass. n. 4147/1995 La ratio e il principio base del diritto penale, infatti, unitamente alla protezione, su un piano di eguaglianza e senza discriminazioni, dei diritti umani e delle liberta' inviolabili dei singoli (che caratterizza anche il diritto civile), sta anche e soprattutto nella funzione di strumento di tutela degli interessi collettivi (che si riflettono in quelli dei singoli) e di propulsione del processo di omogeneizzazione sociale e di attuazione delle finalita' dello Stato democratico-sociale (Mantovani). Il che significa che scopo primario del processo penale non e' affatto quello di fornire la "base giustificativa" per un risarcimento del danno in favore della persona offesa dal reato (essendo questa solo una logica e naturalmente legittima conseguenza del riconoscimento di colpevolezza dell'imputato), bensi' quello di verificare se e dove la lesione di un diritto inviolabile del singolo abbia comportato di riflesso anche la lesione di un diritto e di un interesse collettivo. Pertanto, nel processo penale, e' necessario ed indispensabile che agli elementi probatori forniti dalla persona offesa dal reato, che oltretutto ha gia' la notevole facolta' di avviare il processo contro colui che ritiene responsabile della lesione di un suo diritto personale, se ne aggiungano altri, desunibili aliunde, che consentano di evitare che lo stesso processo penale si risolva nella risoluzione di controversie fra singoli di carattere e natura prettamente "civilistica", se non addirittura che assuma la funzione di strumento di vendetta o di rivalsa e ritorsione per questioni "private": pericolo non meramente virtuale, laddove si verifichi una situazione processuale di "squilibrio" fra le parti che le norme di cui agli art. 497, secondo comma e 197 primo comma (laddove appunto consentono che la persona offesa dal reato, nonostante l'interesse civilistico e privato che inserisce nel processo penale, sia assunto come testimone e come tale presti "giuramento", consentendo di fatto che la prova della colpevolezza dell'imputato si basi esclusivamente o quasi esclusivamente sulle sue dichiarazioni), contribuiscono in maniera determinante a rafforzare, mentre, come detto, interesse precipuo del processo penale dovrebbe essere quello della tutela di interessi collettivi (Stato - Cittadino-imputato, in un rapporto di sostanziale equilibrio). Non sembra del resto che la motivazione prevalente alla base della precedente pronuncia della Corte sulla legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 197 c.p.p. (.., la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituirebbe un sacrificio troppo grande nella ricerca della verita' processuale...) possa effettivamente costituire un ostacolo alla pronuncia di illegittimita', laddove si ritenga che la deposizione della persona offesa (costituitasi o meno parte civile nel processo penale) debba essere comunque assunta, ma non gia' come elemento di prova (carattere che invece assume proprio in base alla previsione dell'art. 497 comma c.p.p.), bensi' con la stessa valenza, in merito al convincimento del giudice, dell'esame dell'imputato, con il consistente vantaggio (anche in termini di economia processuale) che il processo penale arrivi a dibattimento, ove promosso con impulso di una parte privata, solo laddove sia sostenuto da prove concrete assunte e raccolte da un organo statale (il pubblico ministero), alla luce del principio suddetto per il quale il diritto penale tutela principalmente la collettivita' e, di riflesso, il singolo.